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Al crepuscolo

lunedì 27 aprile, 2020.

Tutto d’un tratto tutto si è fermato, ci siamo fermati.

Solo qualche giorno prima programmavamo un viaggio, andavamo un paio di volte a settimana in piscina o palestra. La nostra routine scandiva le nostre giornate, ero un po’ la mia routine. La nostra prospettiva sul mondo ha subito un brusco ridimensionamento e abbiamo dovuto fare i conti, responsabilmente o meno, con la perdita di alcune libertà, la nascita di impensabili restrizioni e la scoperta del distanziamento sociale.

Per apparire ostinatamente ottimista, per “fare morale”, ho ripetuto più volte a parenti o amici, che sentivo particolarmente scoraggiati, che la nostra nuova condizione era ed è un’opportunità. Quanti di noi si sono scoperti capocuochi? Quanti hanno pensato bene di farsi una palestra a casa o hanno deciso di imparare a suonare uno strumento? Qualcuno ha persino terminato il libro che cercava di leggere da anni.

Ci siamo scrollati di dosso vecchie abitudini e abbiamo ridefinito le nostre giornate, smesso di correre tutto il giorno da un posto all’ altro, affannarci furiosamente e inutilmente come una falena contro una lampadina… e abbiamo anche creato una nuova quotidianità e iniziato a vivere con lentezza. Abbiamo fatto di necessità virtù e intrapreso la strada del cambiamento e penso che il cambiamento sia sempre positivo. Quando tutto riprenderà “normalmente” porteremo con noi quello che abbiamo appreso. Non si potrà semplicemente tornare a come era prima, come se nulla fosse successo. Bisognerà tornare a “come era prima” con l’aggiunta della consapevolezza di aver passato tempi incerti, di averli fronteggiati e da questo averne tratto qualcosa di positivo, qualcosa da portare nel nostro nuovo futuro.

Pur rimanendo nei pressi della mia abitazione ho continuato a scattare immagini, cercando di uscire in un orario in cui non avrei incontrato nessuno. Così è stato. Al crepuscolo normalmente molti sarebbero di ritorno a casa da una giornata lavorativa, qualcuno avrebbe approfittato per una corsa e invece adesso nessuno è in giro con il cane e dalle finestre le luci sono già accese. E io ho trovato di nuovo il tempo di scrivere un post e pubblicare le mie foto, cercando di farlo nell’unico modo possibile: il mio.

La tregua

sabato 25 Maggio, 2019.

La cosa peggiore è che non sono accadute cose terribili che mi siano piombate addosso, che abbiano frenato i miei migliori impulsi, che mi abbiano tarpato le ali, che mi abbiano legato a una routine letargica. La routine me la sono fabbricata con le mie mani, e nel modo più semplice: mediante l’accumulo. La certezza di sapermi capace di qualcosa di meglio mi ha messo in mano il rinvio, che in fin dei conti è un’arma terribile e suicida. Ecco perché la mia routine non ha mai avuto né carattere né definizione: è sempre stata provvisoria, ha sempre costituito una via precaria da percorrere finché durava il rinvio, che consisteva nell’eseguire il mio compito giornaliero durante quel periodo di preparazione che a quanto sembra consideravo imprescindibile prima di lanciarmi definitivamente verso l’attuazione del mio destino. Che idiozia vero? Adesso risulta evidente che non ho vizi cospicui, ma credo che ormai non potrei fare a meno di procrastinare: è questo il mio vizio, d’altro canto incurabile. […]

È evidente che Dio mi ha riservato un destino oscuro. Non proprio crudele. Semplicemente oscuro. È evidente anche che mi ha concesso una tregua. All’inizio,  ho riluttato a credere che potesse essere la felicità. Mi sono opposto con tutte le mie forze, poi mi sono dato per vinto, e l’ho creduto. Ma non era la felicitò era solo una tregua. Adesso sono confitto nel mio destino. Ed è più oscuro di prima, assai più oscuro.

Mario Benedetti, La tregua

Hasta que se seque el Malecón

sabato 3 marzo, 2018.

Mi sono svegliato all’alba con un terribile mal di testa. Avevo dormito sul muretto del Malecón, completamente sbronzo. Non so per quante ore. Mi sono tirato su. Ho cercato di sedermi e di raccogliere le idee. Mi sono accorto di essere senza scarpe, senza camicia e con le tasche vuote. Mi avevano rubato anche la chiave di casa. Così adesso avrei dovuto rompere la serratura. Il mal di testa mi spaccava il cranio in due, ma ho fatto uno sforzo per concentrarmi. Avevo fatto tardi a bere insieme a una vecchia…

Pedro Juan Gutiérrez, Trilogia sporca dell’Avana

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El Malecón, La Habana 2/03/2018

Una vita come tante

mercoledì 23 agosto, 2017.

Un sabato mattina, poco dopo il suo trentaseiesimo compleanno, apre gli occhi e ha la strana, piacevole sensazione che prova di tanto in tanto, quando si rende conto che la sua vita è senza nubi. […]

Punta le dita dei piedi verso il fondo del letto, poi le piega verso l’alto: niente. Riappoggia la schiena sul materasso: niente. Avvicina le ginocchia al petto: niente. Non sente alcun dolore, nessuna avvisaglia: il suo corpo gli appartiene di nuovo, pronto a compiere qualunque movimento gli passi per la testa, senza lamentele e senza ostruzionismi. Chiude gli occhi, non perché sia stanco, ma perché è un momento perfetto, e sa come gustarlo fino in fondo.

Momenti come quello non durano a lungo – a volte, gli basta alzarsi a sedere per ricordare, con la violenza di uno schiaffo in piena faccia, che è lui che appartiene al suo corpo e non viceversa – ma negli ultimi anni, man mano che la situazione peggiorava, ha lavorato sodo per rinunciare alla prospettiva di guarire, un giorno, cercando invece di concentrarsi sui rari minuti di tregua e di esserne grato, ogni volta e ovunque il suo corpo decida di concedergli. Finalmente si siede, con lentezza, poi si rialza, sempre con lentezza. E si sente in splendida forma.

Hanya Yanagihara, Una vita come tante

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En Araucanía

lunedì 23 gennaio, 2017.

Il fiume gonfio per lo scioglimento delle nevi sulle Ande, scorreva veloce, facendo frusciare le canne. Rondini rossastre davano la caccia agli insetti. Quando volavano sopra la scogliera, il vento le afferrava e ne invertiva di colpo il volo finché calavano di nuovo basse sul fiume.
La scogliera si elevava a picco sull’approdo di un traghetto. Mi arrampicai su per un sentiero e dall’alto guardai controcorrente verso il Cile. Vedevo il fiume scorrere lucente fra scogliere bianche come ossa, con strisce smeraldine di terra coltivata da ogni lato. Lontano dalle scogliere c’era il deserto. Nessun suono tranne quello del vento, che sibilava fra i cespugli spinosi e l’erba morta, nessun altro segno di vita all’infuori di un falco e di uno scarafaggio immobile su una pietra bianca.
Il deserto della Patagonia non è un deserto di sabbia o di ghiaia, ma una distesa di bassi rovi dalle foglie grigie, che quando sono schiacciate emanano un odore amaro. Diversamente dai deserti dell’Arabia non ha prodotto nessun drammatico eccesso dello spirito, ma ha certamente un posto nella storia dell’esperienza umana. Darwin trovò le sue qualità negative irresistibili. Ricapitolando Il viaggio della Beagle tentò, senza riuscirvi, di spiegare perché, più di tutte le meraviglie da lui viste, questo « arido deserto » aveva tanto colpito la sua mente.
[…] Hudson dedica un intero capitolo di Giorni oziosi in Patagonia a rispondere alla domanda di Darwin e conclude affermando che chi percorre il deserto scopre in se stesso una calma primitiva (nota anche al più ingenuo dei selvaggi), che è forse la stessa cosa della Pace di Dio.

Bruce Chatwin, In Patagonia

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Lago Caburgua, Pucón, Chile

I migliori libri del 2016 da regalare a Natale

lunedì 12 dicembre, 2016.

Non regalare un libro perché non sai cosa regalare

Non regalare un libro se non sai se la persona a cui lo regalerai legge; se non sai se la persona a cui lo regalerai sa leggere; se non hai la più pallida idea di quali siano gli interessi, le inclinazioni della persona a cui lo regalerai; se tu per primo non sei un lettore e te ne infischi dei libri e riconosci loro lo stesso valore simbolico di un pacco incartato con un fiocco colorato. Regalalo perché l’hai letto e t’è piaciuto e pensi che valga la pena leggerlo, qualunque sia la ragione di tale valenza.

  • Giorni selvaggi. Una vita tra le ondeWilliam Finnegan – Il surf può essere una struggente ragione di vita, fisicamente estenuante e intrisa di gioia. Lo testimoniano le pagine di questo appassionante memoir che ha alle spalle una gestazione lunga vent’anni del giornalista e scrittore William Finnegan, dal 1987 staff writer al The New Yorker. L’autore, cresciuto tra Los Angeles e le Hawaii, dà ai lettori la misura di un’ossessione, di un incanto, di una fede assoluta per la tavola e per le onde che rappresentano un modo di stare, rapportarsi e al contempo fuggire dal mondo. A mio parere il miglior libro di quest’anno vincitore del Premio Pulitzer per la biografia e autobiografia.
  • Mi chiamo Lucy BartonElizabeth Strout – È uno dei libri più belli usciti quest’anno. È la storia della resa dei conti tra una figlia, costretta in ospedale in seguito alle complicazioni di un’operazione di appendicite, e una madre, lontana da anni e forse da sempre. Strout qui ha superato l’altro suo grande capolavoro, Olive Kitteridge, e forse anche se stessa scrivendo pagine di una sincerità devastante. Per tutte le donne che hanno una madre.
  • Eccomi, Jonathan Safran Foer – Ambientato a Washington, il romanzo di Foer — uscito a undici anni di distanza dalla precedente opera narrativa, Molto forte, incredibilmente vicino — racconta la storia di una famiglia in crisi e si sviluppa nell’arco di quattro settimane durante le quali avviene un disastroso terremoto in Medio Oriente.
  • Purity, Jonathan Franzen – Il nuovo romanzo di Franzen ha diviso parecchio i suoi letto e io sinceramente sono tra quelli che non lo ritengono all’altezza dei suoi precedenti. È sicuramente uno dei migliori romanzi di quest’anno e i temi affrontati sono come sempre di portata universale. Nello specifico la disintegrazione della famiglia nella sua concezione occidentale e l’informazione come bene supremo e valuta pregiata del ventunesimo secolo.
  • Nature & Politics, Thomas Struth – Non mi azzardo a dire il miglior fotografo vivente, ma sicuramente uno dei più interessanti e particolari, con uno stile riconoscibile e molto europeo. Per me un punto di riferimento da quando mi sono avvicinato alla fotografia, recentemente ho anche avuto la fortuna di incontrarlo a Bologna. Lo consiglio se avete un amico o parente interessato all’arte e alla fotografia e alle rispettive ultime evoluzioni. Pubblicato in occasione della mostra itinerante  dedicata all’ultima produzione dell’artista tedesco. La mostra si concentra sulle fotografie che Struth ha realizzato dalla sua ultima grande retrospettiva, che comprendeva opere del periodo 1978-2010. È il libro più completo del recente lavoro di Thomas Struth.

  • La scuola cattolica, Edoardo Albinati – Ha meritatamente vinto il Premio Strega, il romanzo fiume del prof. Albinati, da molti definito il Grande Romanzo Italiano. Siamo negli anni Settanta, quartiere bene di Roma, scuola privata, da qui sono usciti alcuni degli assassini più crudeli dell’ultimo secolo: gli autori del famigerato massacro del Circeo. Come è stato possibile? Raccontando i luoghi e le persone, l’autore prova a spiegarlo, prima di tutto a se stesso.
  • Voli separati, Andre Dubus – Voli separati parla della ricerca interiore e di come questa ricerca si faccia ancora più intensa quando a prevalere sono sconforto e paura. “A volte,” scrive Dubus in una lettera a un aspirante scrittore, “le storie diventano come ombre e luci dello spirito. Ci saranno sempre ombre nella tua vita, ma spero che continuerai a muoverti verso la luce.” Questa è la sua prima grande raccolta di racconti, storie delicate e durissime che parlano di rapporti di coppia, di padri e figli, di uomini e donne irrimediabilmente soli, individui fragili e vulnerabili, travolti dal dolore e dalla gioia della vita quotidiana. Uomini e donne che escono di casa lasciando le luci accese perché hanno paura di tornare nelle proprie vite.
  • Città in fiamme, Garth Risk Hallberg -New York, 1977. Il Bronx è in fiamme e Central Park è il terreno di caccia di rapinatori ed eroinomani, il punk sta nascendo e gli artisti ancora affittano le soffitte a Manhattan. La notte di Capodanno corre sul filo del rasoio. È quasi mezzanotte quando si alza una tempesta di neve e, nel frastuono dei fuochi d’artificio, uno scoppio attraversa Central Park. Uno sparo. Forse due. Il momento esatto in cui scocca la mezzanotte. Un selvaggio tuffo dentro la desolata confusione della New York dei tardi anni ’70 – è celebrato come il migliore e più grande (anche in senso letterale) romanzo d’esordio dell’anno. La cosa più stupefacente a proposito di Città in fiamme è che il suo autore prima del 1978 non era nemmeno nato.
  • Fight club 2, Chuck Palahniuk – Vent’anni dopo il libro che l’ha reso celebre, Chuck Palahniuk ha deciso di tornare a raccontare la storia dell’uomo nel quale si nasconde il sovversivo Tyler Durden. Il narratore senza nome del romanzo originale ora si fa chiamare Sebastian, ha sposato Marla Singer e insieme hanno un bambino, che costruisce bombe fatte in casa…

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Piazza del Nettuno, Bologna

Pioneer, Go Home!

domenica 25 settembre, 2016.

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Noi Kwimper siamo un po’ diversi dal resto della gente, tutto qua, e dire che siamo pazzi è come se uno che è alto un metro e ottanta si mette a dire a tutti quelli che sono più alti o più bassi di lui sono dei fenomeni da baraccone. Può darsi invece che il fenomeno da baraccone è lui, e quindi può darsi che sono gli altri a non avere il cervello completamente a posto, mica noi. Ora io non so quanto è alto lei, signor giudice, può darsi benissimo che sia uno e ottanta, perciò abbia la gentilezza di non credere che sto parlando di lei.

Richard Powell, Vacanze matte, p. 282

Amore, ecc. – Stuart

sabato 22 agosto, 2015.

   Una delle prime cose che la gente vi dice del denaro è che sia un’illusione. È un’entità fittizia, puramente nozionale. Se date a qualcuno una banconota da un dollaro essa non «vale» un dollaro – «vale» un pezzetto di carta, più un risibile quantitativo d’inchiostro di stampa. Tutti però concordano, tutti son pronti a sottoscrivere l’illusione che valga un dollaro e pertanto quello ne è il valore. Tutto il denaro del mondo vale ciò che vale solo perché la gente indulge alla medesima illusione. L’argento, l’oro, il platino? Perché mai? Solo perché tutti concordano nell’attribuirgli un certo valore. E così via.

Probabilmente capite dove voglio arrivare. L’altra illusione del mondo, l’altra cosa che esiste soltanto perché tutti concordano nell’assegnargli un dato valore, è ciò che noi chiamiamo amore. Direte forse che sono un osservatore alquanto invelenito, ma questa è la mia conclusione. Del resto, è passato ben poco tempo da quando mi ci sono trovato in mezzo. Grazie tante, ci sono andato a sbattere col naso, nell’amore. A sbattere col naso come quando lo accosto al video per mettermi a parlare col denaro. E a me sembra che debbano riscontrarsi delle analogie. Amore è solo ciò di cui la gente riconosce l’esistenza, decidendo di comune accordo di attribuirle un valore nozionale. Oggi tutti, o quasi, stimano l’amore alla stregua di un prodotto ambíto. Non io, però. Secondo me l’amore gode di alte quotazioni artificiose. Prima o poi crolleranno di certo.

Julian Barnes, Amore, ecc.

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H.H.

lunedì 5 gennaio, 2015.

Sono una bella cosa la contentezza, l’assenza di dolore, le giornate tollerabili e accucciate nelle quali né il dolore né il piacere osano alzar la voce, ma tutto bisbiglia e cammina in punta di piedi. Se non che io sono purtroppo fatto così, non sopporto questa contentezza, che dopo un po’ mi diventa odiosa e insopportabile e ributtante, e devo rifugiarmi disperato in altre atmosfere, possibilmente passando per le vie del piacere ma, in caso di bisogno, anche per le vie del dolore. Quando sono stato per un po’ senza piaceri e senza dolori e ho respirato l’insipida sopportabilità delle così dette buone giornate, la mia anima infantile è talmente agitata dal vento della miseria che prendo la lira arrugginita della gratitudine e la scaglio in faccia al sonnacchioso e soddisfatto Dio della contentezza e preferisco sentirmi ardere da un dolore diabolico piuttosto che vivere in questa temperatura sana. Allora avvampa dentro di me un desiderio selvaggio di sentimenti forti, spettacolari, una rabbia contro questa vita piatta, sfumata, normale e sterilizzata, e una voglia folle di fracassare qualche cosa, non so, un magazzino o una cattedrale o me stesso, di commettere pazzie temerarie, di strappare la parrucca a un paio di idoli venerati, di fornire a qualche scolaro ribelle il desiderato biglietto ferroviario per Amburgo, di sedurre una ragazzina o di torcere il collo a qualche rappresentante dell’ordine borghese del mondo. Questo infatti ho più che mai odiato, aborrito e maledetto: questa soddisfazione, la salute pacifica, il grasso ottimismo del borghese; la prospera disciplina dell’uomo mediocre, normale, dozzinale.

Hermann Hesse, Il lupo della steppa

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Gita sull’altopiano

giovedì 21 agosto, 2014.

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Piccolo Tibet – Altopiano di Campo Imperatore, AQ